Durante l'invecchiamento avere uno scopo di vita e nuovi progetti per il futuro ridurrebbe significativamente il rischio di sviluppare l'Alzheimer. Lo dicono i risultati di uno studio longitudinale condotto dal Rush University Medical Center di Chicago pubblicato sugli Archives of General Psychiatry.
I ricercatori del Rush University Medical Center, già famoso per avere reso disponibile su web un applicativo di assessment personalizzato della salute (myrushhealthadvisor.com), hanno valutato all'inizio dello studio scopi e progetti di un campione di più di 900 anziani sani residenti nell'area metropolitana di Chicago (Rush Memory and ging Project) e, annualmente per 7 anni consecutivi, le condizioni cliniche dettagliate dei soggetti e il loro profilo cognitivo (memoria episodica, memoria semantica, memoria di lavoro, velocità di elaborazione delle informazioni, abilità visuospaziali ecc.) con una batteria di 21 test neuropsicologici, al fine di rilevarne i cambiamenti nel tempo e registrare l'incidenza del declino cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment o MCI) e dell'Alzheimer (AD).
Il "purpose in life" è un costrutto psicologico che si riferisce alla tendenza a trovare senso nelle esperienze di vita e possedere intenzionalità e orientamento agli obiettivi nell'ambito del proprio comportamento. Per "misurare" il costrutto i ricercatori americani hanno utilizzato una scala a 10 item derivata dalle Ryff’s Scales of Psychological Well - Being.
Risultato: dei 951 partecipanti, 155 hanno sviluppato Alzheimer (16,3%); in un modello di rischio aggiustato per età, sesso ed educazione, maggiori progetti e scopi di vita sono risultati associati a una sostanziale riduzione del rischio di sviluppare Alzheimer.
"Una persona con elevato punteggio alla scala purpose in life (4,2 punti, pari al 90° percentile) ha una probabilità 2,4 volte maggiore di restare libero dall' Alzheimer rispetto a una persona con basso punteggio (3 punti, pari al 10° percentile)", spiegano i ricercatori di Chicago.
"Va tenuto presente che questa associazione è risultata indipendente dallo stato psicologico e relazionale della persona, come sintomi di depressione, nevrosi, entità della rete sociale, ma anche dalle condizioni mediche croniche", precisano gli americani.
Risultati analoghi sono stati riscontrati nello studio rispetto all'MCI e al tasso di declino cognitivo medio.
I ricercatori del Rush University Medical Center, già famoso per avere reso disponibile su web un applicativo di assessment personalizzato della salute (myrushhealthadvisor.com), hanno valutato all'inizio dello studio scopi e progetti di un campione di più di 900 anziani sani residenti nell'area metropolitana di Chicago (Rush Memory and ging Project) e, annualmente per 7 anni consecutivi, le condizioni cliniche dettagliate dei soggetti e il loro profilo cognitivo (memoria episodica, memoria semantica, memoria di lavoro, velocità di elaborazione delle informazioni, abilità visuospaziali ecc.) con una batteria di 21 test neuropsicologici, al fine di rilevarne i cambiamenti nel tempo e registrare l'incidenza del declino cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment o MCI) e dell'Alzheimer (AD).
Il "purpose in life" è un costrutto psicologico che si riferisce alla tendenza a trovare senso nelle esperienze di vita e possedere intenzionalità e orientamento agli obiettivi nell'ambito del proprio comportamento. Per "misurare" il costrutto i ricercatori americani hanno utilizzato una scala a 10 item derivata dalle Ryff’s Scales of Psychological Well - Being.
Risultato: dei 951 partecipanti, 155 hanno sviluppato Alzheimer (16,3%); in un modello di rischio aggiustato per età, sesso ed educazione, maggiori progetti e scopi di vita sono risultati associati a una sostanziale riduzione del rischio di sviluppare Alzheimer.
"Una persona con elevato punteggio alla scala purpose in life (4,2 punti, pari al 90° percentile) ha una probabilità 2,4 volte maggiore di restare libero dall' Alzheimer rispetto a una persona con basso punteggio (3 punti, pari al 10° percentile)", spiegano i ricercatori di Chicago.
"Va tenuto presente che questa associazione è risultata indipendente dallo stato psicologico e relazionale della persona, come sintomi di depressione, nevrosi, entità della rete sociale, ma anche dalle condizioni mediche croniche", precisano gli americani.
Risultati analoghi sono stati riscontrati nello studio rispetto all'MCI e al tasso di declino cognitivo medio.
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